In un mondo in continuo cambiamento come quello in cui viviamo, i mercati sono sempre più dinamici e con essi il pubblico al quale ci si rivolge, notevolmente ampio e diversificato rispetto a un tempo. Le aziende sono chiamate a restare al passo con i tempi per riscuotere e mantenere il successo desiderato, e per farlo occorre talvolta aprirsi al cambiamento. Nascono così i processi di rebranding, che rispondono alle esigenze delle aziende di rinnovarsi per dare una nuova linfa al proprio brand, posizionarsi verso nuovi mercati o rafforzare i rapporti con i clienti già fidelizzati.
I teorici Muzellec e Lambkin hanno individuato due tipi di rebranding:
rebranding evolutivo;
rebranding rivoluzionario.
Nel primo caso, si parla di piccole modifiche che coinvolgono qualsiasi brand nel corso della sua storia: dettagli grafici, nuovi prodotti o servizi dell’azienda, nuovo materiale comunicativo ecc., mentre il rebranding rivoluzionario è un rinnovamento completo dell’identità aziendale, che incide sul posizionamento nel mercato dell’azienda stessa e sulla sua value proposition. Il rebranding evolutivo è di solito di tipo proattivo: l’azienda vuole migliorare la propria immagine per valorizzare una nuova offerta, intercettare un nuovo pubblico o posizionarsi su nuovi mercati. Diversamente, il rebranding rivoluzionario è solitamente di tipo reattivo: l’azienda decide di rinnovare la propria brand identity a seguito di avvenimenti specifici, quale può essere, ad esempio, uno scandalo aziendale che ha danneggiato la reputazione del marchio.
Spesso il rebranding è una strategia che viene adottata in risposta alla necessità di “svecchiamento” dell’azienda, azione che può rendersi indispensabile per stare al passo con i trend del momento. Ma il rebranding può servire anche nel momento in cui avviene la fusione o la scissione di due aziende, oppure l’acquisizione di un brand all’interno di una società. E ancora, uno dei casi più comuni in cui si dovrebbe fare rebranding è quando un’azienda apporta innovazioni ai propri prodotti o servizi di qualsiasi tipo (estetiche, tecnologiche, funzionali ecc.) e, quindi, si allontana parzialmente da quello che era il core business iniziale. A volte, invece, a cambiare non è l’azienda, ma il pubblico: basti pensare a tutti quei brand che si sono ritrovati a dover comunicare con i millenials, che hanno dovuto necessariamente cambiare approccio. Lo stesso vale per il contesto sociale e culturale: in ogni momento storico ci sono temi più “caldi” di altri, che non si possono ignorare. Le industrie della moda in questo momento dovranno prestare attenzione ai valori di body positivity, quelle agroalimentari alla tutela dell’ambiente, e così via per ogni settore che presenta le proprie peculiarità.
Il processo di rebranding si può semplificare nei seguenti step:
individuare i motivi principali per cui si vuole fare rebranding. Da questo dipenderà l’intera strategia: un conto è svecchiare l’immagine aziendale, un altro è posizionarsi in un nuovo mercato con il lancio di una nuova linea di prodotti;
analizzare vision e mission dell’azienda per stabilire cosa si vuole trasmettere con la propria immagine;
decidere cosa non deve cambiare: nella maggioranza dei casi, ci sono elementi che non devono essere modificati. Il nome dell’azienda e dei prodotti/servizi di rilievo dovrebbe restare coerente, salvo esigenze particolari (un rebranding estremamente rivoluzionario a causa di scandali aziendali);
analizzare la percezione del brand da parte del pubblico, attraverso interviste, indagini e tutto ciò che può contribuire a fornire una prospettiva diversa da quella interna. Un’attività di rebranding efficace coinvolge tutti, in primis i clienti già acquisiti, ai quali si possono chiedere feedback su come migliorare la propria comunicazione.
impostare una strategia coerente sui vari canali. Si procede per gradi: la realizzazione di un logo aziendale moderno e d'impatto è spesso il primo segnale che le aziende inviano per annunciare la propria volontà di cambiamento, ma una strategia di rebranding efficace richiede una coerenza su tutti i fronti. Logo, sito web aziendale, packaging, comunicazione social, annunci pubblicitari, ogni elemento deve essere in linea con l’identità scelta.
Il rebranding non va confuso con il restyling. Quando si parla di rebranding, infatti, si fa riferimento a un’azione di marketing che genera cambiamenti nel medio-lungo periodo. Il restyling, invece, può anche rappresentare un’azione isolata volta ad aggiornare e/o rinfrescare l’immagine aziendale, rendendola più accattivante. Di solito, infatti, il restyling si limita a una revisione di qualche aspetto grafico (ad esempio, la palette di colori) o del tono di voce, che magari deve essere modificato per adattarsi alle necessità del target di riferimento.